MAYDAY
Che il ristorante si chiamasse "IL GALLO" era una deduzione accessibile a chiunque. Non era proprio possibile sbagliare: galli e galletti si pavoneggiavano un po' dappertutto: dipinti, disegnati, in ceramica, costruiti pazientemente con conchigliette...
Come pure era impossibile non indovinare qual'era il ruolo delle due persone che, sedute a un tavolo del locale, a quell'ora vuoto, stavano discutendo.
Alberto era chiaramente il padrone e lo si capiva, non dal suo atteggiamento, ma dalla deferente sottomissione del cameriere sempre pronto ad annuire.
Sull'ennesimo cenno del cameriere, i due si alzarono e, dopo un attimo di esitazione e imbarazzo, si strinsero la mano, una stretta salda di reciproca stima e amicizia.
Alberto aprì la porta di casa e fu accolto da una cameriera giovane e timida che sembrava esser lì solo per aspettare lui. Gli comunicò che la signora era al circolo a fare un torneo di bridge e poi rimase immobile qualche istante davanti a lui, un po' dispiaciuta e un po' curiosa di vedere l'effetto della notizia.
Questo non fu eclatante. Troppe volte era successo e sicuramente quella non sarebbe stata l'ultima.
Anzi, quasi con sollievo, Alberto andò in camera sua, rapidamente sostituì il completo grigio con un paio di jeans e una maglietta, raccolse una sacca dall'aria inequivocabilmente " marina " e uscì in fretta, senza salutare.
Il Circolo del Bridge era, come tanti altri delle cittadine di provincia, troppo esclusivo ed elegante. Il cameriere del bar salutò Alberto con la solita deferenza, mise in macchina il caffè ordinato e mandò un altro cameriere a cercare la signora.
In un salone silenzioso e pregno di fumo, in cui riecheggiavano solo dichiarazioni di gioco, il cameriere si fece strada con consumata esperienza fino al tavolo dove stava Vittoria.
Decisamente quel che si dice una bella donna: fine, elegante, sempre perfetta; non più giovane, ma comunque di sicuro effetto in quel posto frequentato per lo più da anziani signori.
Si girò quasi infastidita verso il bar, poi, scusandosi con i compagni di gioco, si diresse verso il marito.
" Ti rubo solo un attimo, sono passato a salutarti...Vado a prendere Marco e partiamo."
Il tono di Alberto era gentile, ma freddo e Vittoria incominciò a scusarsi.
" Mi dispiace di non essermi fatta trovare in casa, ma, sai com'è, hanno tanto insistito."
" Non importa." Si chinò a baciarla leggermente sulla guancia e lei ricambiò, attenta a non sciuparsi trucco e rossetto, poi, a voce più alta e in tono mondano.
" Non state via troppo però, sono persa senza i miei uomini! "
Lui annuì con poca convinzione, le appoggiò un attimo una mano sulla spalla e se ne andò.
L'attraversamento della città nel caldo afoso del primo pomeriggio, dato il traffico ridotto, fu abbastanza rapido. Solo nei pressi di piazza S.Vitale Alberto cominciò a incontrare gruppetti di giovani vestiti in modo strano.
Si fermò al posteggio e accese una sigaretta rimanendo seduto in macchina ad osservare gli strani spostamenti dei ragazzi.
Alcuni entravano e uscivano dalle macchine ferme in sosta vietata lasciando aperti gli sportelli, altri si avviavano su per un vicoletto, una ragazza seduta su un motorino scambiava frasi rapidissime con suoi simili che, passandole vicino, appoggiavano tutti la mano sul cambio nello stesso modo, come fosse un rito o un segnale...
Il mare era quasi calmo.
Le barche del circolo velico si dondolavano pigramente nelle acque del porticciolo con gli alberi dritti a sfidare il sole. Il poco vento a disposizione si sfogava sulle drizze creando un tintinnio sordo, come di poche monete in un salvadanaio.
Il suono stridulo ruppe la quiete facendo drizzare le orecchie al lupo del guardiano che poltriva sulla pilotina.
Anche una signora, che prendeva il sole sulla coperta di un ketch, si sollevò a cercare la fonte del rumore, strizzò gli occhi panoramicando, poi ci ripensò e tornò alla posizione di prima dopo aver controllato l'orlo dello slip del bikini.
Il rumore della fresa che mordeva il mogano fu per tutti una specie di sveglia.
Un paio di persone uscirono dalla casetta del guardiano conversando animatamente, mentre una barca si infilava, con la randa ancora a riva, nello stretto corridoio fra i pontili.
Il giovanotto che si sbracciava a prua riuscì finalmente ad attrarre l'attenzione di uno dei due che discutevano.
" Veniamo da Venezia,dove possiamo ormeggiare? "
Intanto uno dell'equipaggio ammainava la randa e la barca, col poco abbrivio, accostava.
Alberto era sceso dalla macchina. Senza allontanarsi, passeggiava su e giù per il marciapiede.
Diede un'occhiata all'orologio della piazza che segnava le 15,15 e di nuovo si fermò ad osservare la fauna del luogo della quale ormai riusciva a intuire spostamenti e ruoli apparentemente illogici per i non iniziati.
Una motoretta apparve dall'ombra del vicoletto, ma si fermò subito.
La ragazza che guidava rimase seduta a gambe larghe mentre il giovane che stava sul sedile posteriore scendeva guardandosi attorno. Riconobbe il padre dall'altra parte della piazza.
" Devo andare, ci tiene un sacco alla puntualità...ci vediamo stasera."
E lei, arruffandogli i capelli con un gesto che sapeva indispettirlo:
" Mi raccomando, non far arrabbiare papà! "
La Lancia Thema si infilò in un parcheggio. Alberto Cometti detestava quella macchina almeno quanto le feste, i tornei di bridge, gli amici di sua moglie e tante altre cose. Per la verità, le poche cose che a volte ammetteva di tenere in gran conto erano i figli, la Dorina e il mare.
Ora si apprestava a uscire in barca col figlio maschio, quindi l'espressione corrucciata che gli era solita, quando non la sostituiva con quella da " maitre " quando era al ristorante, aveva lasciato il posto a un entusiasmo quasi infantile.
Si caricò sulla spalla la sacca di tela da vele e, fischiettando, si avviò verso il circolo.
Marco appariva molto meno gasato del padre. Eccessivamente magro, per niente abbronzato, con i bermuda che gli lasciavano scoperte le gambe, aveva un'aria malaticcia.
Seguiva il padre a un'incollatura e riduceva lo svantaggio, smettendo di strascicare i piedi, allorquando Alberto si girava o per rivolgergli la parola o per indicargli qualcosa.
Percorsero il lungo molo sul quale i soliti sfaccendati giravano su e giù a far domande cretine ai pescatori seduti sul bordo.
Un uomo e una donna li sorpassarono camminando velocemente, l'uomo si girò a salutare.
" Ciao Alberto, vai fuori? "
" Sì, vado a fare un giro con Marco "
Il circolo si era ulteriormente animato. Quello della fresa non era più l'unico rumore, ma si mescolava con un vocio confuso, grida e suoni metallici.
La DORINA era un elegantissimo Sangermani di 11 metri.
Trent'anni prima disegnatori e maestri d'ascia ci si erano messi di buzzo buono e ne era uscita una barca alla quale i catorci di plastica moderni non facevano un baffo.
Il mogano continuava a essere lucido e la coperta di teak stupenda.
Appena salito a bordo, Alberto controllò con un'occhiata affettuosa che tutto fosse a posto, poi aiutò il figlio a salire. Accese il motore che cominciò a ronfare regolarmente e, dopo aver regolato il numero di giri, si diede da fare per prepararsi ad uscire: tolse i parabordi e li legò ordinatamente a poppa, poi, altrettanto meticolosamente, preparò le manovre per la vela.
Marco, seduto con aria vagamente annoiata sulla tuga, di tanto in tanto accennava a fare qualcosa, ma ben presto si accorse che era fatica sprecata, infatti suo padre metteva in ordine e preparava tutto come se lui non ci fosse.
Appariva fin troppo concentrato a lavorare, come se avesse un pensiero fisso.
E finalmente la Dorina lasciò l'ormeggio.
Durante la manovra, per un momento sembrò che la fiancata andasse a strisciare contro la briccola di cemento, ma l'accorrere di Marco si rivelò superfluo e la barca sfilò senza problemi.
Uscirono dal porto assieme a un'altra barca che aveva già issato le vele.
Alberto diminuì i giri del motore e chiamò Marco al timone.
Andò a prua a ingarrocciare il genoa e a sistemare le scotte, quindi con gesti calmi e precisi issò la randa e il genoa e infine, emettendo l'unico sospiro di tutta l'operazione, spense il motore.
Fu come cambiare dimensione. Non più rumore, ma suoni puri e primordiali.
Si cominciò a sentire lo sciabordare dell'onda sulla fiancata, gli stridii dei gabbiani, lo scricchiolare delle ordinate dello scafo.
Anche l'equipaggio della barca parve rilassarsi. Marco, disteso su una panca del pozzetto, si mise a fischiettare, mentre il padre, ripreso il timone e accesa la pipa, con soddisfazione cominciò ad aspirare profonde boccate.
Diventava però sempre più evidente che tra loro non solo mancava la parola, ma anche quell'intesa e quell'affiatamento che consentono di stare bene assieme in silenzio.
Chi sembrava preoccuparsene maggiormente era Marco che di tanto in tanto guardava sospettoso il padre. "Adesso salta fuori con quella storia dei figli che devono confidarsi o con quella che le cose belle, come andare in barca, si devono fare in due..."
Invece non succedeva niente di tutto ciò.
Alberto appariva egoisticamente impegnato a godersi il caldo pomeriggio e di tanto in tanto, inconsciamente, accarezzava il mogano lucido della falchetta.
Quando si accorse che non era in arrivo nessuna discussione o predica sulla scuola, Marco si rilassò e, rialzatosi il bavero della giacca a vento, si addormentò.
Il padre lo fissò a lungo mentre la barca, inclinata per la bolina, si allontanava sempre più dalla costa.
Marco si svegliò rabbrividendo per il freddo.
Strizzò gli occhi per mettere a fuoco la figura del padre alle spalle del quale il sole, languido, imponente e complice stava tramontando. Poi, ancora insonnolito, si guardò attorno e non vide nulla.
"Ma che ora è?" "Le otto. Fammi un favore, vai a prendermi la giacca"
"Come le otto! Ma quando torniamo? Mi aspettano alle nove. Dopo se ne vanno tutti e io resto da solo come uno stronzo!"
" La giacca per favore."
Quando aprì l'armadietto sottocoperta non se ne accorse subito. Accecato dal nervoso afferrò la giacca del padre. Poi la vide. Seminascosta dalle cerate, c'era la sua sacca e sembrava anche bella piena. La tirò fuori perplesso e l'aprì. La prima cosa che gli venne in mano fu una T-shirt inequivocabilmente sua con su scritto:FRAGILE-NON ROMPETEMI.
Tornò in pozzetto sventolando la maglietta come una bandiera.
" Cosa ci fa la mia sacca in barca? "
E mentre il sole indugiava all'orizzonte, quasi per non perdersi la scena, Alberto capì che era venuto il momento di parlare.
Si infilò la giacca che Marco aveva gettato con sgarbo sulla panca, riprese la barra del timone e assestò la barca riprendendo la rotta.
" Non si torna a casa stasera..."
Le pause ad effetto non erano il suo forte e quella fu troppo lunga.
" E nemmeno domani o domani l'altro."
Fissando il figlio, tirò fuori due bustine bianche da una tasca interna e con una mano sola le ruppe lasciando che una polvere bianca si disperdesse in mare.
Marco, che grazie alle pause del padre aveva avuto un po' di tempo per prepararsi, reagì abbastanza prontamente, ma il tono della voce era acuto e isterico.
" Beh, e allora?...Erano di un mio amico. Da quando vai a frugare nei miei cassetti? "
Alberto si vide nell'atto di rinvenire le bustine attaccate con lo scotch al fondo del cassetto.
" Non nel cassetto...ma non è solo questo."
Cazzò un po' la scotta della randa e, dopo averla fissata, continuò.
" Ho riassunto Giovanni...lui non aveva osato insinuare che le quattrocentomilalire le avevi prese tu, ma quando gli ho chiesto se eri stato al ristorante quella sera...Poi c'è stata la storia del braccialetto della mamma, che davamo la colpa a Maria...devo continuare? "
Marco si rese conto che sarebbe stato inutile e stupido negare e allora, con aria di sfida, tremando per l'umiliazione e la rabbia di essere stato scoperto, si mise a gridare.
" E va bene! Mi sono fatto qualche pera e allora? Non sono un drogato. Posso smettere quando voglio io! Tutti alla mia età ci provano, ho diciott'anni se non ve ne siete accorti!...Ma già, tu sei troppo impegnato a far soldi e quell'altra a spenderli! Vorresti che diventassi come te? Hai capito male. La vita è mia e ci faccio quello che mi pare."
Marco si era seduto sulla panchetta, si tirò su il bavero della giacca a vento e allungò le gambe.
" Se credi di avermi fregato con la crociera a sorpresa sbagli di grosso! "
Alberto non gli rispose. In certe situazioni le parole sono inutili e poi il rancore e il disprezzo del figlio erano riusciti a ferirlo.
Il silenzio che seguì ufficializzò lo stallo.
Il viaggio adessso era veramente iniziato. Erano tutti e due soli e per la prima volta nemici.
Intanto era scesa la notte, una notte chiara con tante stelle e la luna che faceva biancheggiare le belle vele piene di vento.
Marco decise che gli conveniva andare a letto e così fece, lasciando il padre nel pozzetto.
Tenere i timone di una barca a vela che se ne va tranquilla portata da un vento fresco è bello e piacevole. Alberto, solo, al buio, poteva lasciar spazio ai suoi pensieri. La pace e la serenità che lo circondavano rendevano assurdo, quasi irreale, ciò che era accaduto poco prima.
Gli appariva chiaro che Marco non avrebbe collaborato.
Credeva di poter contare sulla stima e sulla fiducia di suo figlio, invece si rendeva conto (e gli bruciava) che lo considerava un mediocre inserito nel sistema come tanti altri.
Certo a 18 anni si pensa che la vita sia una partita ancora tutta da giocare, senza regole precise e compromessi da accettare. Era stato così anche per lui ed era stato bello.
Ma i giovani d'oggi,"vitelloni" senza più miti nè mecche, senza più nè fantasia nè speranze, gli apparivano ancor più fragili e patetici.
" Se becco mio figlio a drogarsi, lo caccio sulla Dorina e...Un anno lo tengo in mare!...Tocca terra alle Maldive. Voglio veder dove la trova!...Gli passa mo! "
Chiacchere da bar, o meglio da circolo nautico.
A un suo amico avevano arrestato il figlio, pescato a rubare stupefacenti in una farmacia, e la cosa aveva dato il via alle discussioni.
Ognuno aveva il suo rimedio. C'erano i picchiatori, i comprensivi, i perdonatori, i giustizieri. Alberto aveva esposto la sua e a tutti i soci del Circolo Nautico era sembrata un'idea intelligente.
Già, uno le cose se le immagina, ma poi...
Cominciava veramente a fare freddo. Legò il timone e scese silenziosamente nella dinette, uscì quasi subito, si coprì con una vecchia coperta e si mise a masticare, senza voglia, dei biscotti.
Si sentiva vecchio e stanco.
" La mamma lo sa che mi hai rapito? "
La domanda non è che lo risvegliò, ma lo ricompose. Marco gli stava porgendo una tazza di caffè.
I capelli biondi spettinati lo facevano apparire ancor più giovane. Provò una stretta al cuore.
Attorno si stava diffondendo la fredda luce dell'alba.
" La mamma non sa niente. Le ho detto che ti facevo una sorpresa, ti portavo in crociera in Croazia. Ha preparato lei la tua sacca" " Vuoi che tenga io il timone?...Sei stanco? "
Il sorriso del figlio lo rincuorò: si staccò dalla barra facendogli segno di sostituirlo e, sedutosi nel pozzetto, sorseggiando il caffè, pensò che, tutto sommato, la situazione non era poi così drammatica.
" Senti, papà, adesso che siamo più calmi, non ti sembra di aver esagerato? Lo vedi no?...Non sono un drogato, te l'ho detto, l'ho fatto solo qualche volta per provare e ti giuro che non succederà più"
" Va bene, Marco, se c'è una cosa che desidero è crederti, ma dammene la possibilità "
" Cioè? " " Continuiamo ad andare per mare per un po' "
L'aria remissiva e docile di Marco cadde come una maschera dal suo viso, una guancia cominciò a contrarsi per un tic nervoso che non riusciva a controllare e si mise a gridare.
" Per un po'? Ma dico, sei diventato scemo? Voglio tornare a casa subito, hai capito? Tu non hai il diritto..."Non riuscì a finire la frase perché cominciò a tossire in modo convulso e poi a vomitare.
Alberto balzò in piedi, automaticamente afferrò il timone e rimise in rotta la barca, mentre, allibito, osservava il figlio che, pallidissimo, sembrava contrarsi tutto, scosso dai conati.
Non cercò nemmeno di soccorrerlo. La crisi, se crisi era, non durò molto, ma lasciò Marco sfinito e ripiegato su se stesso come uno straccio, in un bagno di sudore.
Ci fu un lunghissimo silenzio, poi Alberto si sentì dire con voce stranamente calma:
" Come ti senti?"
Il ragazzo adesso aveva l'aria spaventata.
" Non mi era mai successo...ho paura...aiutami"
Non ci furono altre parole, la consapevolezza di entrambi era più che sufficiente.
Era quasi mezzogiorno quando avvistarono terra. Il vento era buono e due ore dopo la Dorina attraccò al Marina di Lussinpiccolo.
Volendo navigare in acque jugoslave era necessario fare l' "entrata" e così Alberto scese con i documenti. Non appena scomparve dietro una roulotte diretto agli uffici, anche Marco scese a terra e subito gli si fece incontro un ufficiale della Capitaneria che con un sorriso attaccò discorso:
"Bella barca...non se ne vedono mica tante così. Una volta sì che ci sapevano fare, altro che plastica!...Da dove venite?"
Marco non aveva proprio voglia di fare conversazione e gli rispose in modo sgarbato.
Subito l'ufficiale, risentitosi, lo rimise in riga, facendogli pesare la sua autorità.
" Guarda che finché non hai fatto l'entrata non puoi scendere a terra...non allontanarti da questo pontile e non passare quel cancello! "
Marco gli farfugliò un " capito" e, ancor più di malumore, fece dietro-front e tornò a bordo.
Ce l'aveva soprattutto con se stesso per essersi lasciato prendere dal panico e aver chiesto aiuto al padre. Già! E adesso chi lo fermava. Partiva per la crociata, dritto al suo scopo con tanto di paraocchi, come tutti quelli della sua età. Si era fregato da solo. Se almeno fosse riuscito a trovare un po' di roba!
Stava ancora rimuginando quando tornò Alberto. Gli bastò un'occhiata per intuire che il figlio si era ripreso anche troppo e che la tregua era ( di nuovo) finita. Comunque aveva deciso di non concedergli vantaggi. Sapeva che doveva essere, o per lo meno sembrare, il più forte.
Così, ostentando sicurezza e ignorando il disagio fra loro, aprì un sacchetto con del cibo, facendogli segno di servirsi.
" Non è un granchè, ma a quest'ora non ho trovato altro. Ci rifacciamo stasera...voglio mangiarmi un piatto di scampi alla busara..."
" Tanto non ho fame "
Il tono era scorbutico, però si divorò un paio di fette di pane con prosciutto e formaggio senza fiatare.Il marina era quasi al completo e, a parte qualche barca dichiaratamente vuota e chiusa, su tutte le altre si notava segni di vita:qualcuno prendeva il sole, da un'altra usciva una musichetta rock...
A bordo di un grosso cruiser tedesco una coppia anziana guardava la TV.
Sul pontile un signore " aiutato " da un bambino di due anni stava lavando i piatti mettendoci impegno e detersivo degni di un carosello.
Una sorta di legge non scritta aveva fatto abbassare a tutti il volume per non rovinare la quiete del primo pomeriggio. Fu quindi con fastidio che si girarono le prime teste allorquando si cominciarono a sentire ineducati rumori provenire dal mare.
" Dai, andiamo là! " Chi urlava era uno che teneva la barra di uno sloop informe di dieci metri circa.
Procedeva grazie a un motore che sicuramente forniva più rumore che potenza e sembrava divertirsi un mondo a imballarlo facendo continuamente degli avanti-indietro.
Sprizzava autorità da tutti i pori. " Tu col mezzo-marinaio, a prua! "
Dava un'altra rumorosissima e fumosissima sgassata e: " Michela, perdio! I parabordi! "
Puntava il gavitello dell'ormeggio e: " Michela, porca Eva, lascia stare i parabordi! Prepara la cima per l'ormeggio! " E Michela, che aveva già il parabordo in mano, disorientata, lo appoggiò in coperta e andò a cercare la cima. A prua il terzo, col mezzo-marinaio ben stretto in mano, guardava con aria di sfida verso terra. La sua espressione cambiava totalmente quando buttava l'occhio al suo skipper.
Era terrorizzato.
Sulle barche ben ormeggiate gli spettatori si stavano preparando all'evento: da sottocoperta uscivano donne e uomini insonnoliti. Un tedesco obeso lanciò un'occhiata preoccupata verso la barca in manovra, poi, rapidissimo, scese e tornò fuori stringendo qualcosa in mano.
Rassicurato dal fatto che non aveva perso nessun passo saliente dello spettacolo, si mise bello comodo, aprì la lattina di birra e si accinse a seguire le fasi dell'attracco. Sapeva che non sarebbe stato deluso.
A mare si cominciava a entrare nel vivo della performance. Il timoniere, che si era avvicinato troppo, virò a motore imballato e...il parabordo finì in acqua.
Michela si mise a urlare e abbandonò la cima che penzolava fuori bordo, pericolosamente vicina all'elica. Carlo, a prua, non si muoveva, pragmatico, ligio ai comandi.
Il timoniere urlava ordini e insulti in rapida successione seguendo con gli occhi il parabordo e non rendendosi conto dello strano comportamento della barca che aveva cominciato a girare su se stessa.
Alla fine ci rinunciò. Lasciò il parabordo al suo destino ben sapendo che imprese ben più grandi lo aspettavano. Un'ultima, affettuosa occhiata al galleggiante bianco che si allontanava portato dalla corrente e: " Carlo, sta pronto a prendere il gavitello a prua! "
Carlo, a prua, guardava con odio il gavitello che si avvicinava velocissimo. Si girò verso poppa:
" Siamo troppo veloci, rallenta! "
Quando l'anello fu a tiro, aiutato nella mira dalla disperazione, lo arpionò col mezzo-marinaio, ma non sarebbe bastata la forza di un centauro, non riusciva a fermare la barca.
I muscoli tesi nello sforzo, una smorfia su viso...finì in acqua anche il mezzo-marinaio.
E solo in quel momento il timoniere ritenne opportuno dare motore-indietro e lo fece con la solita determinazione: l'urlo del motore imballato, un gran fumo...il silenzio.
La cima pendula a poppa, avvolta attorno all'elica, aveva fatto giustizia.
La barca davanti al marina si dondolava pigramente cominciando a distanziarsi portata dalla corrente e i tre vedevano la terra allontanarsi.
Una terra odiosa abitata da repellenti esseri sghignazzanti, ma pur sempre terra.
Marco aveva smesso di ridere e li guardava preoccupato.
Era sceso un silenzio strano rotto solo dalle risate asmatiche di un grasso svizzero.
Dalla fila delle barche ormeggiate si era staccato un gommone spinto dalle vogate energiche di un giovanotto barbuto. Si tuffò anche Marco che lo raggiunse vicino alla barca in difficoltà.
Con lo skipper ridotto al silenzio riuscivano a combinare qualcosa di buono anche i membri dell'equipaggio. A Marco fu passata una cima che lui portò a nuoto al gavitello, mentre con un'altra, il marinaio tornò verso il pontile.
Ben diretta, la manovra dell'ormeggio, fatta a mano con le cime, durò pochi minuti.
A terra ora era tutta un'apoteosi di aiutare, consigliare. Aveva ritrovato la voce, incurante dello smacco, anche il timoniere: uno di quelli che raccontano le cazzate con terminologie tecniche inaccessibili. I suoi due compagni, mogi mogi, sedevano nel pozzetto aspettando che lui, e succedeva continuamente, li apostrofasse con un : " Allora quel cretino di Carlo ha fatto...Quella scema di Michela non si è accorta che..." Un vero capo:
Fra i curiosi in piedi davanti alla barca ormeggiata era venuto anche Alberto e fu un suo consiglio che permise di liberare l'elica dalla cima attorcigliata.
Quando la consapevolezza di essere ben ormeggiati in un porto sicuro riuscì a farsi strada negli animi dei tre, percettibilmente, i loro comportamenti cambiarono e diventarono molto più simpatici.
Tutto sommato ce l'avevano fatta e bisognava festeggiare l'avvenimento. Apparvero, come per incanto numerose bottiglie di vino piacevolmente appannate e ne approfittarono quasi tutti i presenti. Andrea, così si chiamava lo skipper del " Finalmente ", era il ragazzo di Michela, che, a sua volta, era sorella di Carlo. Della barca avevano comperato il guscio e l'attrezzatura di coperta.
Gli interni erano stati costruiti da Carlo che faceva il restauratore di mobili antichi.
Quest'ultimo, orgogliosissimo della sua opera, non faceva altro che invitare a visitarla provocando visibili traumi in coloro che accettavano di farlo.
Stucchi e appliques in vetro di Murano non sono infatti il genere di arredamento che normalmente ci si aspetta di trovare in una barca di 10 metri.
I veri fidanzati sembravano Andrea e Carlo, tanto era ossequiente e rispettoso quest'ultimo nei confronti del capo; Andrea, in compenso, chiamava continuamente a testimone il futuro cognato:
" Allora io ho guardato l'orizzonte e ho detto: Prendiamo una mano di terzaroli...ragazzi, sarà dura! Eh, Carlo? ". I tre avevano catturato l'attenzione di tutto il marina, poi qualcuno cominciò ad andarsene. Rimasero solo Alberto, Marco e il marinaio che aveva aiutato i ragazzi in difficoltà.
Si chiamava Attilio e, grazie ai suoi silenzi si intuiva che ne sapeva sul mare molto più di loro.
Alla proposta di Alberto di andare a cena in paese, Marco non manifestò entusiasmo. Era palpabile la sua riluttanza a trovarsi nuovamente solo con il padre.
La cena in un ottimo ristorante di Lussino non riuscì ad alleggerire l'atmosfera.
Tornarono in barca e prepararono in silenzio le cuccette; nella angusta dinette badavano quasi a non toccarsi, poi, finalmente, la stanchezza e il sonno concessero una pausa necessaria a entrambi.
Il giorno dopo fu caratterizzato dal classico "tempo da nervi ": sole, nuvoloni indecisi, vento eccessivo.
Le barche non si muovevano, anzi, qualcuno rafforzava gli ormeggi.
Gli unici che sembravano godere di questa situazione erano i tre del " Finalmente ": si aggiravano su e giù per i pontili chiacchierando con tutti. Marco si era unito a loro e si comportava come fossero vecchi amici. Alberto li osservava pensieroso notando forse quanto era più facile per il figlio comunicare con degli estranei che non con suo padre, quando, sul pontile di fronte alla "Dorina " si presentò Attilio:
" E' un Sangermani? " " Sì, vuol salire a bordo? "
Si sentì parlare e gli venne da aggiungere: " Come siamo sempre più formali noi adulti, guardi mio figlio con quei ragazzi " " Bella barca, è tua? "
Il passaggio al tu era stato naturale." Sì, ti va una caffè? "
Mentre sorseggiavano tranquillamente il caffè chiacchierando, qualche barca più in là, su un 15 metri, un tipo rumoroso dall'aria arricchita, completo di pancia e pelata, probabilmente l'armatore, stava insidiando con ostentazione una ragazza decisamente svestita e provocante più per la sua abbondanza che per la sua bellezza. La scena sembrava recitata a uso e consumo del terzo componente dell'equipaggio, un tipo dalla faccia " da drago " in perfetta tenuta da yachtman.
Improvvisamente il ciccione, quasi folgorato da una visione si mise a gridare:
" Attilio!...Attilio! " Finalmente lo vide sulla Dorina e aggiunse: " Vieni un po' qua! "
Era il proprietario della barca. Lo raggiunsero e Attilio salì a bordo, mentre Alberto rimase sul pontile. L'armatore a voce alta, forse per esibire il segno del comando, apostrofò subito il marinaio.
" Attilio, prepara tutto che usciamo. Si è alzato proprio il vento che piace a me! "
Attilio guardò il cielo e il mare fuori dal porto, poi scosse la testa e, rispettoso ma deciso:
" Con questo tempo è meglio non uscire, avvocato... "
" Se si esce o si sta in porto lo decido io, fino a prova contraria! Per cosa credi che ti paghi? "
Fosse stato più intelligente si sarebbe risparmiato quest'ultima frase. L'effetto fu immediato.
Attilio sparì sottocoperta e uscì pochi minuti dopo con la sua sacca e, senza una parola, scese a terra.
Poco dopo la barca, con varie manovre una più goffa dell'altra, salpava l'ancora e si avviava zigzagando verso l'uscita del porto. Marco si era unito al padre e ad Attilio e aveva assistito alla partenza del 15 metri. Guardando il cielo gli venne spontanea la domanda: " Ma sono matti? "
Attilio guardava il mare con un sorriso triste: " C'è un mucchio di gente che ha soldi e barche e non li sa usare! Quelli là sono tipi da " ferro da stiro " non da barca a vela.
Era una semplice constatazione, senza astio né risentimento. Quell'uomo calmo e sicuro di sé riuscì subito simpatico a tutti e due, inoltre la sua presenza allentava la tensione.
Il tempo peggiorò improvvisamente." Un groppo! " Disse Attilio e, guardando verso l'uscita del porto continuò: " Quando c'è avviso di burrasca si sta all'attracco, non si esce " Poi, quasi fra sé:
" Chi ama il mare sa che bisogna rispettarlo...e anche temerlo "
Interruppe i loro discorsi un impiegato della capitaneria che arrivò scocciatissimo per chiedere perché era uscita l'altra barca e, dopo aver chiarito che non avevano nessuna intenzione di andare a soccorrerli se avevano problemi, aggiunse in slavo alcuni commenti sicuramente offensivi.
Quasi contemporaneamente la radio della Dorina, sintonizzata sul 16 gracchiò un MAYDAY.
Alberto e Attilio si guardarono in faccia, poi Alberto fece un cenno di assenso e, affiatati come se fossero sempre andati per mare assieme, si misero in azione.
Marco rimase a guardarli per qualche istante, poi salì a bordo scuotendo la testa
" Ehi, ma fate sul serio? Ma se non avete fatto altro che dire che con questo tempo non si può...
che non si deve " " Si può, si può sempre quando c'è una buona ragione" Borbottò Alberto mentre Attilio mollava a poppa.
Due ore più tardi la Dorina rientrava in porto trainando diligentemente il 15 metri con la randa squarciata. La burrasca era passata, il mare era di nuovo quasi calmo e il ciccione e il suo amico litigavano furiosamente rinfacciandosi errori e colpe. La ragazza, molto più dignitosamente, era sparita sottocoperta. Durante il salvataggio Marco aveva fatto la sua parte, poi si era sentito un po' male, una cosa da poco, ma ad Attilio non era sfuggito lo sguardo preoccupato e indagatore del padre. Comunque alla fine si sentivano tutti e tre soddisfatti e quasi euforici. Quella sferzata era stata salutare.
Rifiutarono l'invito a cena dei naufraghi ( Attilio non era uomo che tornava sui suoi passi ) e andarono a mangiare in una taverna. Durante la cena Alberto propose ad Attilio di rimanere a dormire sulla Dorina e di continuare il viaggio con loro.
Attilio rimase un attimo indeciso e imbarazzato, poi, con un improvviso sorriso, accettò l'invito.
" Michela! Pronta a mollare a poppa! "
Il Finalmente stava lasciando l'ormeggio. Carlo a prua riuscì a liberare benissimo la cima dal gavitello, dando così il suo contributo a una manovra esemplare.
Posata la cima in coperta si girò verso terra a salutare con ampi gesti Alberto e Marco fermi sul pontile in attesa di Attilio che era andato in Capitaneria. Anche Andrea, che già cominciava con le sue caratteristiche sgassate, si girò per un ultimo saluto:
" Buon vento ragazzi! Siate prudenti! "
Il gommone che faticosamente portava a spasso i due paffuti coniugi tedeschi si trovò improvvisamente la rotta tagliata dal Finalmente. Il marito virò imprecando e cominciò a blaterare alzandosi in piedi...
Il germanico gesticolante è sempre pericoloso. Andrea accostò e si allontanò velocemente.
La mattina successiva era in mare anche la Dorina. La meta: le Incoronate, per la rotta interna, tra l'Isola Lunga e Isto. Attilio, con la sua aria da lupo di mare solitario esercitava un certo fascino sui due. Sebbene da diverse prospettive, vedevano in lui un " fuori-strada " che viveva la vita secondo le sue regole, facendo sempre e solo quello che voleva. Il suo amore per il mare era la cosa che colpiva di più e ne parlava come di una persona: " Il mare, amico o nemico che sia, è sempre leale e mette gli uomini a nudo. Ti fa vedere quello che sei e quello che vali...La vita di terra invece è fatta di sorrisi ipocriti, compromessi, corse inutili e traguardi idioti "
Con lui Alberto parlava volentieri e dai suoi discorsi veniva fuori un uomo in crisi e insoddisfatto che non intendeva rinnegare le sue scelte ma che aveva bisogno di tanto in tanto di concedersi qualche pausa come andarsene per mare in Adriatico o a fare l'istruttore di vela alla scuola di Caprera. Marco era, come al solito, annoiato e ora infantilmente risentito per non essere più al centro dell'attenzione del padre.
Passarono due giorni navigando quasi solo con il vento ( che era poco ) e fermandosi la notte alla fonda in una baia deserta. Incontrarono poche barche, ma con quelle poche, se a vela, erano ampi saluti.
Si era alzato un bel vento teso: Alberto e Attilio erano sottocoperta a guardare le carte nautiche mentre Marco era al timone. Un'altra barca a vela sulla stessa rotta si affiancò alla Dorina e si mise a gareggiare. Appariva molto più veloce.
Attilio salì in pozzetto in quel momento e si rese conto di quanto stava accadendo e, strizzato l'occhio a Marco si mise a regolare le vele e a dare consigli finché la Dorina non cominciò a guadagnare. Avevano quasi raggiunto gli sconosciuti avversari, quando questi, dopo aver poggiato un po', issarono un bellissimo spi. Con qualche minuto di ritardo Attilio fece la stessa manovra e la gara continuò. Per la prima volta da quando era cominciata la crociera, Marco era sorridente e gasato e si stava impegnando al massimo.
L'altra barca, davanti ma vicinissima, quasi raggiunta, improvvisamente modificò la rotta e strambò.
Subito Marco tentò la stessa manovra, ma la randa passò troppo velocemente, non riuscì a tenerla e la barca straorzò mentre lo spi si incaramellava. Si fermarono mentre gli altri si allontanavano trionfalmente. Solo allora Marco mise a fuoco la figuretta snella e abbronzata di una ragazza che, con i lunghi capelli al vento, ridendo e saltellando, dalla poppa si sbracciava in ironici saluti.
Alberto, che era salito in coperta e aveva seguito le ultime fasi, arrabbiato, gli strappò il timone di mano e Marco, rosso per l'umiliazione senza dir niente se ne andò in cuccetta.
Dopo poco lo raggiunse sottocoperta Attilio che si sedette al carteggio fingendo di studiare le carte, poi borbottando fra sé: " La strambata è una manovra difficile, richiede calma e rapidità..."
Quando Marco, dopo un breve silenzio, gli chiese dove aveva sbagliato, glielo spiegò, pacato e competente.
Verso le 2 del pomeriggio il vento, improvvisamente, cadde del tutto. Fecero qualche tentativo di catturare qualche bavetta, ma con risultati scoraggianti.
In cielo intanto si andavano accumulando nuvole nere e minacciose.
Alberto guardò il cielo e controllò il barometro, quindi accese la radio e il responso non tardò ad arrivare. L'Avviso, trasmesso da una voce pacata ma autorevole, riguardava l'alto e medio Adriatico: in arrivo una burrasca da nord presumibilmente di forza 8/9.
Mentre Alberto accendeva il motore, Attilio scese a prendere le carte. Anche Marco aveva sentito l'avviso di burrasca e tornò in pozzetto assieme ad Attilio.
Una rapida discussione e fu deciso dove dovevano riparare.
Si impostò la rotta e la Dorina, spinta dal motore si avviò verso Brbjni, un golfetto con mezza ancora sulla parte est dell'Isola Lunga.
Quando entrarono in rada il vento era molto aumentato. Era un luogo desolato e inquietante. Fecero un giro per osservarlo e per valutare la posizione migliore per dare fondo.
Si entrava passando di fianco a un'isoletta pietrosa alta una trentina di metri che proteggeva un po' l'interno dai venti da nord. Sulla sinistra una povera casetta bassa e davanti a questa due stentati alberi di fichi quasi sulla riva e una barca da pesca tirata in secca.
Dall'altra parte della baia un piccolissimo cimitero con poche croci e tante pietre, anche questo tanto vicino al mare da venire continuamente spruzzato dalle onde che frangevano sulle rocce.
Tornarono indietro e Alberto decise: " Diamo fondo là! "
Attilio era d'accordo e si occupò lui dell'ancora. La manovra fu eseguita presto e bene, mentre la radio continuava a gracchiare l'avviso di burrasca.
Ora non rimaneva altro che aspettare e, dopo un controllo per vedere se l'ancora aveva preso bene e non arava, Alberto decise di andare a terra con il tender per dare un'occhiata.
Marco, seduto davanti all'albero in coperta guardava il mare, il vento era ulteriormente aumentato e fischiava tra le sartie; suo padre e Attilio erano scomparsi lasciando il tender davanti alla casetta.
Improvvisamente, portati dal vento, si cominciarono a sentire rumori strani.
Sembravano improvvise accelerazioni di un motore ansimante mescolate a voci confuse che presto si rivelarono per quello che erano: offese ed improperi.
Il Finalmente, a sua volta spaventato dall'avviso di burrasca, stava facendo il suo ingresso in rada.
Saluti e abbracci per l'imprevisto ritrovarsi e Marco fu subito coinvolto nell'operazione di dar fondo alle ancore. Sì, plurale perchè Andrea, visto che a bordo ne avevano due, aveva deciso di usarle entrambe.
Marco e Andrea a bordo, Carlo e Michela sul tender a remi, portando faticosamente a spasso ancore e catene. Una lavorata infame, ma alla fine ce l'avevano fatta. Credevano. Invece Andrea non era ancora soddisfatto e pontificò che, per maggior sicurezza, si doveva mettere anche una cima a terra.
Dal gavone ne tirò fuori una lunga, pesante e tutta sporca e la passò a Carlo con l'ordine di andare a legarla a uno dei due alberi.
Intanto dalla casetta era uscito un vecchietto che si era seduto su una sedia e non perdeva una delle loro mosse; quando Carlo e Michela arrivarono a terra con la cima li osservò con grande curiosità.
" Senta, le dispiace se leghiamo la nostra cima al suo albero? "
Il vecchietto rispose in un discreto italiano con accento veneto: " Ma siete matti? "
Aiutandosi con gesti riuscì a spiegare loro che a mezzanotte circa il vento avrebbe cambiato direzione e, se mantenevano quell'ormeggio, la barca sarebbe finita su quella pietraia là in fondo, dove, se andavano a vedere, c'era ancora qualche frammento di uno yacht svizzero che l'anno precedente aveva commesso il loro stesso errore. Un po' era anche preoccupato per il suo albero. Intanto erano arrivati anche Alberto e Attilio. Con il loro aiuto non ci furono problemi per rifare un nuovo ormeggio. A mezzanotte e un quarto lo scirocco girò a bora, si ballò un poco, ma l'ormeggio tenne bene. L'alba riportò con il sole anche l'allegria. I tre del "FINALMENTE" non cercavano altro che qualcuno che li "adottasse" e così fu. Quando Alberto chiese loro se volevano far vela assieme verso le KORNAT, la risposta fu un immediato: sì, OK, perfetto! Con tanto di sorrisi sollevati.
Arrivarono a RAVNI ZAKAN che il sole stava tramontando. Facendo attenzione ai bassi fondali, andarono a dar fondo alle ancore in una baietta dove stavano già parecchie altre barche a vela. Unica costruzione in vista era un'osteria con antistante un pergolato sotto il quale andavano prendendo posto ai tavoli gli equipaggi. Andarono a terra con i tender, a remi e guardandosi attorno in silenzio, gustando appieno l'incanto di quel posto dove le luci dei velieri già si confondevano con le prime stelle. La "Gostiona" era al completo. " Rimasto neanche un pesce ... niente pane" oltre a questo lo slavo burbero sembrava avesse esaurito anche la voglia di servire a tavola, continuava a tergersi la fronte dal sudore.
Intanto erano stati raggiunti dai tre del "FINALMENTE" e ci pensò Michela: "Ragazzi, datemi mezz'ora e vi faccio i migliori spaghetti che avete mai mangiato!"
Cenarono nel pozzetto della barca in rada. Carlo aveva rimediato una lanterna a petrolio che diffondeva una strana luce ... tutt'attorno il mare calmo della baia e in cielo la luna circondata da luci di fonda e stelle. Michela accoglieva con grandi sorrisi tutti i complimenti "alla cuoca", ma sembrava particolarmente sensibile a quelli di Alberto. Niente di particolare, ma Andrea cambiò d'umore e improvvisamente, mentre tutti gli altri stavano scherzando e ridendo, se ne uscì con un: "Beh, ragazzi, che si fa?... andiamo a letto?" E si trovarono di botto ormeggiati al polo nord.
Quella della pulizia del filtro della nafta è una tradizione alla quale sfuggono in pochissimi. Attilio lo faceva con rara perizia e con altrettanta affrontò il discorso: "Cosa ti preoccupa di Marco?" Alberto esitò solo un attimo prima di vuotare il sacco e mentre pulivano e rimontavano il filtro gli raccontò tutto. Le parole di Attilio parvero confortarlo, ma non dissolsero tutti i suoi dubbi: "Son tre giorni che stiamo assieme e crisi non ne ha avute ... di sicuro non si sta facendo ... secondo me l'hai preso in tempo, si sarà fatto qualche volta ... Certo gli dovrai stare addosso, ma mi sembra un gran bravo ragazzo ..."Intanto Marco, prendendo l'aspro sentiero, quasi una mulattiera, che iniziava di fianco all'osteria e si snodava tortuoso fino alla cima, salì sulla collina. Tutt'attorno una miriade di isolette grigie e brulle incastonate in un mare ben segnato dai bassi fondali e dalle correnti. Seduto su un asso si guardava attorno indugiando su una vela che scompariva dietro un'isola o cercando di vedere sempre più lontano. E forse stava pensando che sarebbe riuscito a stare a lungo, molto a lungo, in quel luogo senza annoiarsi, quando una barca arrivò in rada. La riconobbe subito e l'immagine della biondina gli tornò alla mente, inquietante e piacevole. Avevano ammainato le vele, ma apparivano indecisi, il motore acceso. Rapidamente cominciò a scendere. Poi dal basso venne il rumore della catena dell'ancora che mordeva il passacavi e questo lo fece quasi scivolare per l'emozione. Fu al pontile in un attimo. Dalla barca si stava staccando un tender e veniva verso di lui, ma lei non c'era. Un signore barbuto con una bambina di dieci-dodici anni, attaccò il gommone al pontile e scesero a terra. Marco ormai non ansimava più, ma lo sguardo deluso gli era rimasto incollato alla barca, così non gli sfuggì il surf che si staccava dalla fiancata e cominciava a volteggiare nella baia. Era una donna. Il bikini rosso ... i lunghi capelli biondi ... passò vicino al pontile e forse sentì il suo sguardo. Era molto brava: virava e strambava con abilità e stile, quando fu a pochi metri, riconoscendolo, gli sorrise e andò a posarsi presso di lui. "Ehilà, Cino Ricci, cosa fai qui?" "Sei brava con il surf" "Vuoi farci un giro?" Marco esitava. "Dai, sai fare? Come ti chiami?" "Marco e tu?" "Gabriella" Non c'era gente in giro. Molte barche all'alba se n'erano andate. Sulla Dorina Alberto era salito in testa d'albero a controllare le manovre e da qui non gli erano sfuggite le mosse di Marco e anche Attilio che lo assisteva al verricello si era girato a guardare. Gabriella si era seduta sul pontile e Marco stava facendo goffi tentativi di partire con il surf perseguitato dalla voce di lei che dava consigli. Fu una bella giornata. La più bella. Erano di Rimini, padre e le due figlie, una famiglia pulita, sportiva, aperta.
Scese la sera e organizzarono una grande tavolata allegra e chiassosa assieme ai tre del "FINALMENTE". Attilio aveva trovato il modo di mettersi in mostra corteggiando scherzosamente (lei stentava a rendersene conto) la piccola Francesca. Carlo, in forma smagliante, snocciolava barzellette e l'unico, come al solito, che appariva un po' fuori posto era Andrea, ma anche Michela non sembrava del tutto a suo agio. Alberto, dal canto suo seguiva con attenta discrezione il figlio. Marco, seduto di fianco a Gabriella, si stava vistosamente prendendo una cotta dantesca. Così, quando lei disse che le sarebbe piaciuto salire sul monte, Marco prese la pila e si incamminarono. E furono in cima.Stavano silenziosi, seduti su un masso immersi in un panorama stupendo: le stelle, una luna quasi piena, il mare calmissimo, le tante isole disabitate, macchie scure a rompere l'orizzonte. Lei rabbrividì o per il freddo o per l'emozione e gli appoggiò la testa sulla spalla. In quel momento avrebbe dovuto baciarla. Di solito non era timido, ma questa volta lo desiderava tanto da non riuscire a farlo e fu forse questo che poi gli provocò l'insonnia.
"Alle cinque massimo, papà salpa l'ancora. Domani andiamo a HVAR" Gli disse prima di salutarlo con un piccolo, fresco bacio sulla guancia.
Quando, la mattina dopo, si precipitò in coperta, lo "JO-JO" era sparito e se n'era andato anche il "FINALMENTE". Dopo un po' salparono anche loro e, quando furono in mare aperto, con le carte aperte nel pozzetto a decidere la rotta, Marco parlò: "Perché non andiamo a Hvar?". Attilio e Alberto si guardarono mentre il "Mi hanno detto che è molto bellina ..." detto a bassa voce e arrossendo veniva portato via dal vento.
HVAR, capoluogo dell'isola omonima, è una cittadina piena di ricordi della dominazione veneziana. Costruita tutt'attorno al porticciolo turistico, sembra costruita in funzione di questo.
Praticamente si "sbarca in piazza".Arrivarono nel primo pomeriggio e il giro esplorativo ( Una fissa di papà quando c'è da attraccare!) vide Marco in piedi sul pulpito alla ricerca dello JO-JO. Quando finalmente lo avvistò, tornò verso poppa e cominciò a esibire una efficienza allarmante: attaccò i parabordi, tirò fuori il mezzo marinaio, le cime, poi tornò a prua all'ancora e, mentre Alberto impostava la manovra di attracco, se ne uscì con un sonoro: "Pronto a spedare!".
Fu una bella manovra pulita che inorgoglì anche Marco, unico neo, Attilio che a bassa voce gli faceva notare che spedare vuol dire tirar su l'ancora, avrebbe dovuto dire "Pronto a dare fondo!". Gabriella era apparsa sul pontile sorridente e pronta ad aiutarli. A Marco riuscì benissimo anche il lancio della cima e, quando furono carponi, lei a fare una gassa a terra e lui a cazzare a bordo, si sorrisero felici, quasi la cima legasse un po' anche loro.
Quella sera la cena a bordo fu piacevole. Si discuteva di attracchi: perché si dà fondo sopravento e perché bisogna sempre fare il passaggio esplorativo. Marco partecipava ancora gasato dalle manovre del pomeriggio. Si sentiva di diritto, finalmente, membro dell'equipaggio della DORINA.
"Marco!?... Marco, ci sei? ... mi accompagni a prendere un gelato?" Era in piedi sulla passerella con la figuretta esile che già aveva attirato l'attenzione di un paio di ragazzi. Lo sguardo interrogativo al padre ricevette in risposta un sorriso.
Lei allungò una mano per aiutarlo a scendere e lui non gliela lasciò più.
Camminarono scherzando e ridendo per le calli di HVAR passando davanti a gostione illuminate con tavolini all'aperto. Quando la scarsità di luce li favoriva, le mani si stringevano di più e tacevano.
Si ritrovarono in piazza. Qui si aggirava una miriade di persone, quasi tutti turisti, per lo più italiani e tedeschi.
Da un angolo buio della piazza veniva un suono di chitarra e si avvicinarono. Era un gruppo di italiani, in prevalenza milanesi o quantomeno lombardi, probabilmente campeggiatori. Uno dall'aria vissuta sedeva su una giacca a vento con una chitarra in mano e una ragazza stesa al suo fianco a suggerire: "Dai Roby, fai O mia bela Madunina ... dai,Roby, funiculì funiculà ..." A testimoniare che, tutto sommato, una sorta di unità d'Italia è stata fatta.
Il gruppo era composto da personaggi non molto belli a vedersi: abbigliamento iper-casual, presumibilmente un po' zozzi, capelli unti e orecchini portati con grande non-chalance dai maschietti. In una zona più in ombra, quattro facevano passamano con una cicca, ormai esaurita, di spinello. Marco e Gabriella stavano in piedi a guardare e a sentire i cori un po' stonati. Il tentativo di fare "Nobody knows the trouble i've seen" di Armstrong fu un clamoroso insuccesso e molti degli spettatori se ne andarono, ma ciò non provocò un grosso trauma negli autori che si misero solo a discutere come continuare il recital.
Fu quindi nel silenzio che si sentirono gli accordi di un'altra chitarra. La fonte fu presto individuata: era un croato seduto sui gradini della chiesa. Di fianco a lui un altro stendeva per terra una stuoia di vimini. Si notò, per tutta la piazza, un certo trambusto; erano più che altro i giovani croati che accorrevano. Evidentemente il chitarrista ultimo arrivato era un personaggio che godeva di una certa notorietà. Gabriella, incuriosita, cominciò a tirare Marco che aveva lasciato un po' l'occhio su quelli che fumavano.
Si era già formato un bel gruppo di persone, ma, per qualche strano fenomeno, davanti a loro si aprì un varco. Erano in prima fila quando il croato cominciò a cantare.
Era una ballata di Bob Dylan e il croato la gestiva a modo suo, suonando forse con troppa energia, ma la sua voce era bassa e virile, piena di rabbia. E veniva da chiedersi da dove nascesse, ma, forse, non c'era nessuna denuncia o messaggio sociale, forse era solo un tipo incazzoso per conto suo e se la cantava così, ma il risultato era sorprendente.
I croati lo seguivano attentissimi, le ragazze adoranti. Ma lui guardò Gabriella.
La cosa non sfuggì a Marco che fu preso dalla gelosia. Guardava il profilo di lei che seguiva attenta, sentì che cercava di liberare la mano e la lasciò. Ora, con le braccia conserte, quasi ad abbracciarsi, cantava sottovoce assieme al croato, ondeggiando a tempo. Marco, sempre più incavolato, guardava, con ostentato disprezzo la stuoia che si andava riempiendo di banconote e monete offerte dagli spettatori. Qualunque fosse la fonte alla quale attingeva la rabbia il croato, non si poteva non notare quanto la canzone "motivata" fosse più arrapante di quella melodico-noiosa.
Uno stuolo di turisti oziosi e di croati pendeva dalle sue labbra. Poi qualcosa rovinò l'atmosfera.
Fendendo la folla due della milizia arrivarono davanti al chitarrista che si era zittito. Iniziò una discussione e i turisti cominciarono ad andare via. Si intuiva che discutevano sia dell'orario che dei soldi sparsi sulla stuoia. Il chitarrista conservava un atteggiamento "epico". Silenzioso guardava i militi, poi mollava un mezzo sorriso al pubblico rimasto, faceva due accordi e rispondeva seccamente a una domanda. Ben diverso: sottomesso, servile e accomodante era invece l'atteggiamento del suo amico che, continuando a conversare, arrotolava con non-chalance la stuoia.
Di tutto il folto pubblico presente erano rimasti pochi e quasi tutti croati che di tanto in tanto cercavano di prendere le difese del chitarrista. Marco cercava di trascinare via Gabriella che invece continuava a seguire attentissima la discussione in croato. Quando il chitarrista e il suo amico con la stuoia arrotolata sotto il braccio, furono portati via dalla milizia i pochi rimasti, dopo un attimo di disorientamento, li seguirono. A un croato Gabriella chiese: "Ma cosa fanno, li arrestano?" Il croato non capiva l'italiano, ma non fu difficile mimare la domanda. La risposta affermativa, mimata a sua volta, fu inequivocabile. Il posto di polizia aveva un'aria,tutto sommato, molto tranquilla. Una porticina anonima personalizzata dalla scritta MILICJA, davanti un giardinetto ben tenuto con due pini marittimi.
L'amico del chitarrista uscì quasi subito senza stuoia e venne a rapporto dai suoi amici che avevano impostato un timido sit-in. Gabriella, unica straniera oltre a Marco, cercava di informarsi e finalmente uno, in un discreto italiano, spiegò loro che non stava succedendo niente di drammatico: dopo la mezzanotte non si poteva cantare in piazza e anche la raccolta di elemosine non era molto ben vista. Comunque l'arrestato sarebbe stato rilasciato di lì a poco con tutti il denaro raccolto, toh, forse gli scroccavano una birra! Facevano sempre così. Marco, che nel corso della serata aveva visto crollare le sue azioni, pensò che forse era venuto il momento buono. "Dai,Gabriella, andiamo ... qui son tutti croati" "Volevo vedere se lo rilasciano subito" Ormai solo una blanda curiosità la tratteneva lì, appariva quasi convinta e Marco provò una gran mossa. "Dai, vieni, andiamo a vedere se i milanesi ci danno un po' di roba ..." Voleva riconquistarla, voleva ritrovarla com'era stata sulle montagne alle Kornat o forse solo tenerle la mano come mezz'ora prima e quella gli sembrava una gran strategia. "Cos'hai detto?" Non era la domanda indignata di quella-che-non-crede-alle-sue-orecchie. Non aveva veramente capito. E Marco, con un sorriso complice, glielo ripetè, questa volta abbracciandola alla vita e cominciando a trascinarla via. "Un po' di roba cosa?" Ora sì che la domanda era retorica.
L'aver capito le aveva procurato una espressione attonita che la faceva apparire vittima di un malore. Fu la sua mano ad accorgersi per prima di ciò che era successo. Gabriella si era fermata e lo guardava. "Ma cosa sei, drogato?" Nei suoi occhi c'era solo disprezzo e repulsione. "OK, OK..." L'unica cosa che poteva fare era trovare una buona uscita. "... Tu preferisci aspettare lo slavotto per vedere se rimedi una sveltina ... OK, OK" E si allontanò verso la piazza. Dopo qualche passo, senza girarsi, la salutò con la mano.
Quando Alberto si svegliò al mattino da sogni inquieti, non si trovò trasformato, come Gregor Samsa; in un immenso insetto, ma forse la cosa l'avrebbe avvilito meno della vista della cuccetta del figlio intatta. Mentre si vestiva e anche dopo, mentre camminava sul pontile davanti alla barca appariva completamente in balia dello sconforto e dell'indecisione. Si era svegliato anche Attilio che invece seppe subito cosa fare: "Vado allo JO-JO a sentire se Gabriella è tornata". Il padre di Gabriella era già sveglio e stava lavando alcuni piatti sul pontile. Alberto, che era rimasto indietro, vide Attilio che gli parlava, colse l'occhiata allarmata che gli lanciava il padre prima di salire in barca e sparire sottocoperta. Uscì subito, esitò un attimo davanti ad Attilio, poi si diresse verso Alberto: "Gabriella è tornata. Si sono lasciati verso mezzanotte...dice che Marco andava a cercare della droga."Si avviarono assieme verso la piazza decisi a cercare il ragazzo. Subito furono raggiunti da Gabriella che voleva partecipare alle ricerche. Il padre non riuscì a farle cambiare idea. Vagavano per una Hvar ancora quasi totalmente addormentata, senza fare strategie, tutti assieme, in silenzio. Li guidava Gabriella che stava ripercorrendo, forse soffrendoci, la passeggiata della sera prima. E fu lei che lo vide. Era disteso su una panchina. O dormiva o era svenuto.
Il padre di Gabriella, prevenendo Alberto, prese il polso del ragazzo per contare le pulsazioni, poi gli guardò le pupille.
La caffettiera grande borbottava sul fornello a bordo della Dorina. Marco, disteso sulla cuccetta non si era ancora svegliato. Il padre di Gabriella, medico, stava spiegando ad Alberto che, da un punto di vista clinico, non c'era assolutamente niente di grave. Il suo interlocutore lo ascoltava in silenzio, quasi distratto.
Stava "tracciando una rotta" e mentre Attilio serviva il caffè mormorò: "Devo tornare a casa"
In quel momento Marco si svegliò e si guardò attorno: nessuno dei tre uomini lo stava guardando, ma Gabriella, che era affacciata al tambucio sì. Quello che vide negli occhi di lei ci mise un po' a capirlo, era pena.
Non riuscì a sopportarlo e si girò verso il buio della cuccetta.
La Dorina si allontanava velocemente verso il mare aperto. A terra Attilio stava spiegando agli altri che si era offerto di accompagnarli, ma Alberto aveva rifiutato, anche abbastanza energicamente. Gabriella si avvicinò al padre che le mise un braccio attorno alle spalle.
Il sole era ormai basso all'orizzonte, la terra era scomparsa ed erano nuovamente soli. Si era alzato il vento e Alberto aveva messo le vele. Se ne stava al timone con l'occhio perso, poi qualcosa lo animò: aveva colto i primi segni di una tempesta. In cielo si andavano addensando nuvoloni scuri, le onde aumentavano e il vento aveva cominciato a fischiare in maniera inquietante. Invece di preoccuparlo, la cosa sembrò rallegrarlo. Fissò il timone e scese in dinette a guardare le carte. Tracciò una rotta con mano ferma, scrisse l'angolo, si sporse a guardare un attimo il figlio che continuava a dormire e tornò in coperta.
Il vento era aumentato e con esso il mare, mare incrociato, quello brutto, con onde che provengono da tutte le direzioni. La barca si inclinava per la troppa tela, ma Alberto, testardo, non cambiava rotta né decideva di ridurre. Gli piaceva così. Sapeva che ci sarebbe stata bagarre e la voleva grossa. Quando la barca si inclinò mettendo tutta la falchetta in acqua, gli spuntò sulle labbra un sorriso e, finalmente si decise a prendere una mano di terzaroli.
Lo faceva con euforia, con mosse sapienti ed energiche. Poi andò a prua e cambiò anche il fiocco, bagnandosi tutto.
Quando tornò al timone indossò un giubbotto salvagente. Lo fece per il freddo e anche per una quasi automatica conoscenza delle "regole". Ma non le stava seguendo tutte, ottenebrato com'era dall'idea di tornare a casa subito e a tutti i costi, novello Ulisse con il figlio trasformato in maiale grufolante da una circe maledetta.
Quando decise di prendere un'altra mano, la situazione era ancor più critica e Nettuno non gliela perdonò. La scotta, mal fissata, si liberò e tutta la randa partì improvvisamente, trascinandolo via e facendolo cadere in acqua.
Sottocoperta, Marco si era svegliato, sentiva freddo, ma non si decideva a uscire dal sacco a pelo. La barca ballava tutta; si alzò aggrappandosi al tavolo, accese la luce poi mise fuori la testa: "Papà!?" La consapevolezza di quanto era successo lo colpì come una mazzata: suo padre era caduto in mare, forse morto e lui era solo, infreddolito e rincretinito in mezzo al mare in tempesta. Respirò profondamente, poi fece la prima cosa saggia: indossò una cerata e il giubbotto.
Non uscì subito, doveva pensare. "La più alta percentuale di incidenti mortali in barca è causata dall'uomo a mare: Soprattutto di notte, anche se c'è mare calmo bisognerebbe legarsi con la cintura ..." Alberto e Attilio che chiacchieravano, poi solo gli occhi di suo padre ... Si precipitò alle carte, fece un rapido conto e uscì.
Scovò la cintura di sicurezza e l'indossò, poi, muovendosi cautamente si portò all'albero e, dopo aver fissato la cintura, prese l'altra mano di terzaroli e, tornato al timone, mise la Dorina sulla rotta che, sperava, l'avrebbe portato a ripescare suo padre. Il mare non collaborava affatto: scuro come la pece si squarciava di tanto in tanto grazie a un lampo. Marco fissò il timone e andò alla radio. Il MAYDAY che lanciò fu raccolto da Ancona-radio, ma non sapeva indicare la posizione. Gli consigliarono di continuare le ricerche. All'alba avrebbero mandato, tempo permettendo, un elicottero.
Tornò al timone. Scrutava il mare con caparbietà, cazzò la scotta della randa. "Dai Dorina che lo troviamo!"
Forse era stata solo una raffica anomala, ma la Dorina aveva orzato, quasi volontariamente. Guardò dritto di prua e vide qualcosa. Si alzò di scatto, l'andatura era molto sostenuta e solo quando il naufrago fu sollevato da un'onda ne fu certo: era suo padre.
La manovra di accosto fu da manuale. Ora il padre era aggrappato alla barca vicino al pozzetto, aveva un aspetto terribile, ma era vivo.
La barca era in cappa, quasi ferma, Marco cercò di tirarlo su. "Credo di avere un braccio rotto" Seguirono goffi e impacciati tentativi che li lasciarono esausti nelle rispettive posizioni. L'unica cosa che si sapeva non avrebbe mai ceduto era la mano del figlio che teneva disperatamente quella del padre. Ci pensò la Dorina.
La scotta del fiocco, lasca, caduta in acqua, era ancora legata al verricello. Alberto ci si appoggiò con il piede.
Un'onda girò la barca e il fiocco prese aria, la scotta si tese e fu come essere in ascensore. Era a bordo.
Alberto in cuccetta cercava di trovare una posizione che non infierisse troppo sul braccio immobilizzato dalle stecche della randa. Dagli oblò i raggi del sole sottolineavano il miglioramento delle condizioni meteo. Il VHF, ancora acceso trasmetteva solo qualche brusio e pacati messaggi tra operatori senza problemi.
"Pronti a strambare!" Marco, in piedi nel pozzetto, il timone con una mano e la scotta della randa nell'altra, concentratissimo, si stava preparando alla manovra. La barca procedeva tranquilla e veloce.
Alberto si era faticosamente sollevato, ascoltava la Dorina che, trasmettendogli i rumori, gli raccontava quello che accadeva e che lui non poteva vedere: lo sciabordare dell'acqua lungo le fiancate, il cicalare veloce del verricello, gli scricchiolii delle ordinate.
"Strambo!"
Un momento di silenzio e quindi uno schiocco e un sussulto della barca, poi di nuovo lo sciabordare sempre più veloce.
Alberto si appoggiò al cuscino e chiuse gli occhi.
Ecco, suo figlio Marco aveva imparato una manovra.